I nonni, l’affetto interrotto e il diritto riconquistato: la legge sul legame con i nipoti
- avvdanielatorrisi
- 22 set
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Nonni e nipoti e il diritto di frequentazione: la legge e la sua applicazione
La figura dei nonni, nell’ordinamento familiare, non è soltanto memoria affettiva: rappresenta un presidio di continuità educativa e di radicamento identitario. Non di rado, però, vicende conflittuali tra i genitori o fratture insanabili nei rapporti familiari determinano l’interruzione della relazione con i discendenti minorenni. Da qui il quesito: la legge riconosce ai nonni un diritto a mantenere rapporti con i nipoti? E, in caso affermativo, con quali strumenti può essere esercitato?
Il fondamento normativo: l’art. 317-bis c.c.
La risposta è contenuta nell’art. 317-bis c.c., secondo cui gli ascendenti hanno diritto di conservare legami significativi con i minori appartenenti al proprio ceppo familiare. Se tale diritto viene ostacolato, essi possono adire l’autorità giudiziaria, che valuterà l’adozione dei provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del fanciullo.
Non si tratta, dunque, di un diritto assoluto né automatico: la norma deve essere letta in coerenza con il principio superiore dell’ordinamento, ossia la centralità del benessere psico-fisico del minore, quale parametro imprescindibile in ogni decisione che lo riguardi.
Il vaglio giurisprudenziale: il rapporto deve essere utile, non solo non dannoso
La Corte di cassazione ha chiarito in più occasioni che la mera assenza di pregiudizio non è sufficiente a giustificare l’imposizione giudiziale di rapporti con gli ascendenti. È necessario dimostrare che la frequentazione costituisca un vantaggio concreto per il minore, arricchendone la dimensione affettiva, educativa e identitaria.
L’ordinanza n. 12317 del 9 maggio 2025 ha ribadito il principio: “l’assenza di pregiudizio non legittima, di per sé, l’instaurazione forzata del rapporto; occorre dimostrare un’utilità effettiva e attuale per il minore”. Ne discende un onere probatorio particolarmente gravoso, che impone di documentare l’effettivo beneficio attraverso elementi oggettivi e, spesso, supporti tecnici qualificati.
La competenza giudiziaria: il ruolo del Tribunale per i minorenni
L’organo deputato a conoscere delle istanze ex art. 317-bis è il Tribunale per i minorenni, cui l’art. 38 disp. att. c.p.c. attribuisce una competenza funzionale ed esclusiva. La riforma Cartabia non ha inciso su questo assetto: la giurisprudenza di merito ha confermato che il Tribunale ordinario non può essere adito direttamente dagli ascendenti (cfr. Trib. Verona, decreto 5 giugno 2024).
L’apertura della riforma Cartabia: l’intervento dei terzi nel giudizio genitoriale
Un diverso strumento è stato introdotto dall’art. 473-bis.20 c.p.c., che consente l’intervento nel processo di terzi portatori di un interesse qualificato. Parte della giurisprudenza ha ritenuto che in tale categoria possano rientrare anche i nonni, ammettendoli ad intervenire nei giudizi di separazione o divorzio, soprattutto in funzione adesiva rispetto al genitore favorevole alla frequentazione.
L’orientamento non è tuttavia uniforme: molti tribunali considerano la legittimazione degli ascendenti come tassativamente prevista dall’art. 317-bis, escludendo l’ammissibilità dell’intervento nei giudizi tra i genitori. Ne deriva un quadro frammentato, privo al momento di un indirizzo consolidato.
La scelta della strategia: tra ricorso autonomo e intervento
La via principale resta il ricorso autonomo al Tribunale per i minorenni, che garantisce certezza di rito e coerenza sistematica. L’intervento nel giudizio tra i genitori rappresenta invece un’opzione eventuale, di esito incerto, che può trovare utilità solo in Fori più inclini ad interpretazioni estensive.
La decisione non può essere assunta sull’onda del mero impulso emotivo, ma deve poggiare su una valutazione tecnica complessiva: natura dell’interruzione del rapporto, posizione dei genitori, grado di conflittualità familiare e prospettive concrete di tutela dell’interesse minorile.
Considerazioni conclusive
L’ordinamento riconosce agli ascendenti la possibilità di mantenere relazioni significative con i discendenti minori, ma la tutela giudiziaria di tale legame non è mai incondizionata. L’affetto, pur prezioso, non è sufficiente: occorre dimostrare che esso si traduca in un reale vantaggio per la crescita equilibrata del minore.
La riforma Cartabia ha aperto un varco, ma non una certezza, in materia di intervento dei terzi. In questo scenario complesso, la scelta non appartiene ai nonni bensì al loro difensore, che deve orientare la strategia processuale con rigore tecnico e rispetto assoluto della centralità del minore. Solo così il sentimento familiare può aspirare a divenire diritto tutelato.



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