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Festa del Papà e Bigenitorialità: l’Affidamento Condiviso è Solo sulla Carta?

  • avvdanielatorrisi
  • 19 mar
  • Tempo di lettura: 6 min

Oggi, nella ricorrenza della Festa del Papà, è doveroso interrogarsi su una questione cruciale: quale spazio occupano i padri nella vita dei figli dopo la separazione?


Un padre guida il proprio figlio nel cammino della vita: l'importanza della bigenitorialità nell'affidamento condiviso.

L’introduzione dell’affidamento condiviso con la Legge 8 febbraio 2006, n. 54 avrebbe dovuto garantire una ripartizione più equilibrata della responsabilità genitoriale, riconoscendo al minore il diritto a mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori. Eppure, nonostante la cornice normativa, i dati ISTAT raccontano una realtà diversa: nell’89,9% delle separazioni con figli, viene formalmente disposto l’affidamento condiviso, ma nella pratica il 94,5% dei minori vive prevalentemente con la madre.


Un cambio normativo, un modello sociale immutato


Fino al 2006, l’affidamento esclusivo alla madre era la regola. Infatti, nel 2005, nell’80,7% delle separazioni, e nell’82,7% dei divorzi, i figli minori venivano affidati alla madre, mentre l’affidamento al padre era un'eccezione (3,4% nelle separazioni e 5,1% nei divorzi).


L’innovazione normativa ha cercato di scardinare questo assetto, tuttavia, senza un mutamento sostanziale delle dinamiche familiari e delle strutture sociali, il diritto si scontra con la realtà. I tribunali, nell’interesse del minore, tendono infatti a confermare l’assetto preesistente: se prima della separazione la madre era il riferimento principale nella quotidianità, difficilmente questa centralità si ribalta dopo la crisi coniugale.


Il ruolo della giurisprudenza nella residenza prevalente


Su questo punto, la Cassazione (ordinanza n. 19069/2024) ha ribadito che l’affidamento condiviso non implica una divisione paritaria del tempo tra la madre ed il padre; ciò che conta è garantire al minore una relazione equilibrata e continuativa con entrambi, nel rispetto delle esigenze specifiche del bambino/adolescente. Per questo motivo, i giudici possono disporre una residenza prevalente presso uno dei genitori, qualora sia ritenuta la soluzione più adatta al benessere del minore.

La giurisprudenza ha quindi avuto un ruolo determinante nel consolidare il concetto di residenza prevalente, giustificandone l’adozione con la necessità di garantire stabilità e continuità affettiva ai minori. Tuttavia, questa scelta interpretativa ha spesso determinato una conseguenza paradossale: anziché promuovere un’equa ripartizione della responsabilità genitoriale, ha finito per rafforzare una prassi che porta molti padri ad allontanarsi progressivamente dalla vita quotidiana dei figli. Una distanza che, in alcuni casi, non è solo fisica, ma anche emotiva e relazionale.


I padri si allontanano davvero?


Il risultato è che il coinvolgimento dei padri, in molti casi, diventa sempre più sporadico e formale. Tuttavia, dietro il diradarsi della presenza paterna, oltre che il disimpegno volontario, potrebbero celarsi ostacoli concreti, tra cui:

Difficoltà lavorative, che limitano la disponibilità di tempo;

Fragilità economica, che impedisce di mantenere un’abitazione idonea ad accogliere i figli;

Senso di inadeguatezza se durante la convivenza il ruolo di caregiver era principalmente della madre;

Percezione di esclusione, alimentata dal timore di essere marginali nella vita dei figli.


Questi fattori incidono sulla qualità del legame padre-figlio, creando una distanza che non è sempre il frutto di una scelta consapevole, ma piuttosto di un intreccio di barriere oggettive e percezioni sociali radicate.


Le difficoltà dei padri, nel mantenere un ruolo attivo, si intrecciano inevitabilmente con le esperienze delle madri, che a loro volta possono trovarsi divise tra la necessità di garantire stabilità ai figli e le insidie di un sistema che spesso le sovraccarica di responsabilità. La giurisprudenza e le prassi applicative, nel cercare di tutelare il benessere del minore, finiscono talvolta per cristallizzare ruoli genitoriali tradizionali, alimentando una narrazione in cui la madre è la figura accudente per eccellenza e il padre un genitore ‘a tempo’. È qui che emerge una dicotomia sottile ma cruciale: madri ostili o madri intrappolate in un sistema inadeguato?


Madri ostili o madri intrappolate in un sistema inadeguato?


In alcuni casi, il principio della bigenitorialità viene ostacolato non solo da difficoltà oggettive, ma anche da un atteggiamento di chiusura da parte di uno dei genitori. Si parla di ‘madri ostili’ quando la madre, più o meno consapevolmente, impedisce o limita il rapporto del figlio con l’altro genitore, trasformando la separazione in un campo di battaglia in cui il minore diventa strumento di conflitto. Nei casi più estremi, si parla di alienazione parentale. Tuttavia, è fondamentale distinguere queste ipotesi da quelle in cui la limitazione della presenza paterna risponde a esigenze di tutela del figlio.


A tal proposito, la giurisprudenza è chiara sul punto: l’ostacolo ingiustificato alla relazione con l’altro genitore può configurare un danno per il minore e portare alla modifica delle condizioni di affidamento (Cass. Civ., Sez. I, n. 13274/2022). Questo significa che, laddove si accerti un comportamento ostruzionistico privo di giustificazioni fondate, il giudice può rivedere l’assetto dell’affidamento.


Allo stesso tempo, non va dimenticato che molte madri si trovano spesso a gestire un carico di responsabilità che non hanno scelto, ma che deriva da un sistema che non favorisce una vera condivisione di tempi e risorse tra i genitori.


Ma se il sistema può intrappolare le madri in un ruolo accudente quasi esclusivo, non è meno severo con i padri, specialmente con quelli che, dopo la separazione, si trovano a dover fronteggiare difficoltà economiche e ostacoli pratici che rendono ancora più complesso esercitare la loro genitorialità. Per molti, il problema non è solo giuridico o relazionale, ma anche concreto: come conciliare le responsabilità genitoriali con le ristrettezze economiche e con una routine che sembra escluderli? Il rischio, per alcuni, è quello di trovarsi di fronte a una barriera invisibile che li allontana progressivamente dai figli.


Padri separati e difficoltà economiche: una barriera invisibile


Le difficoltà economiche post-separazione rappresentano uno degli ostacoli più insidiosi per molti padri, aggravando una condizione già segnata dalla riduzione del tempo trascorso con i figli. Il mantenimento, l’eventuale necessità di trovare un nuovo alloggio e le spese quotidiane possono rendere difficile non solo il sostegno economico, ma anche la possibilità di garantire uno spazio adeguato per accogliere i figli, alimentando quella distanza che il sistema, almeno sulla carta, vorrebbe evitare.

Secondo l’Osservatorio Nazionale sulle Famiglie, il 72% dei padri separati subisce un drastico abbassamento del tenore di vita, mentre quasi il 30% scivola sotto la soglia di povertà relativa.


Il pagamento dell’assegno di mantenimento, il costo di due due abitazioni e la difficoltà di conciliare lavoro e cura dei figli rendono spesso impraticabile una reale parità di tempi di permanenza. Un padre che non dispone di uno spazio adeguato per accogliere i figli non è meno presente per scelta: è, piuttosto, ostacolato da un sistema rigido che rende difficile la continuità del legame.


A livello internazionale, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte condannato l’Italia per non aver garantito un’effettiva parità genitoriale. Ad esempio, nella sentenza R.B. e M. c. Italia del 22 aprile 2021, la Corte ha evidenziato come l’assenza di misure adeguate per l’attuazione dell’affidamento condiviso finisca per penalizzare i padri separati e, di conseguenza, il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. La Corte ha sottolineato che le autorità italiane hanno l’obbligo positivo di adottare misure adeguate e sufficienti per garantire il diritto alla bigenitorialità, come sancito dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Tuttavia, queste pronunce non sono ancora riuscite a tradursi in un cambiamento sistemico effettivo: la bigenitorialità rimane un principio sancito dalla legge ma, troppo spesso, disatteso nella pratica, nonostante l'affidamento condiviso; ed è proprio questa distanza tra teoria e realtà a rendere urgente un ripensamento delle politiche familiari, affinché la bigenitorialità non resti solo un ideale, ma diventi una concreta garanzia per i minori e per la mamma ed il papà.


Bigenitorialità: un diritto ancora incompiuto


Affinché la bigenitorialità non resti solo un principio astratto, ma si traduca in una tutela effettiva, è necessario ripensare le modalità con cui viene applicata nelle dinamiche post-separazione. Perché ciò avvenga, sono necessari interventi mirati, tra cui:

Politiche di conciliazione lavoro-famiglia che permettano a entrambi i genitori di assumere un ruolo attivo nell’educazione dei figli;

Sostegni economici per i genitori separati per riequilibrare il carico post-separazione;

Un cambiamento culturale, che promuova la condivisione delle responsabilità genitoriali già prima della separazione, affinché il padre non sia solo una figura accessoria nella quotidianità del minore.


Sigmund Freud scriveva: “Non riesco a pensare ad alcun bisogno dell’infanzia altrettanto forte quanto il bisogno della protezione di un padre”.

Oggi, più che mai, questa protezione non può essere un principio astratto, ma deve tradursi in scelte concrete, affinché ogni figlio possa crescere con il sostegno di entrambi i genitori: la vera bigenitorialità non è una concessione, ma il diritto di ogni bambino a crescere con entrambe le sue radici salde nella vita di ogni giorno.

 
 
 

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